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La Piana Lunense e la sua miniera

LA PIANA LUNENSE E LA SUA MINIERA

miniera

Giovanni Ricci e Giuseppe Musetti alla vecchia Miniera di Colombiera 

La piana lunense ha una sua identità specifica, talvolta disgiunta dagli insediamenti collinari da cui essa stessa emana. Esiste insomma una "comunità della piana" che non conosce confini amministrativi tra Luni, Castelnuovo Magra, Fosdinovo e Sarzanello, oltrepassando anche quelli ben più complessi, legati cioè all'appartenenza a due regioni diverse: la Liguria e la Toscana.

Uno dei fili conduttori che paiono legare le frazioni di pianura di questi paesi è anche la "lignite", i cui banchi attraversano la bassa Val di Magra.

L'apertura di siti di escavazione o di esplorazione - talvolta "in orizzontale" - per estrarre questo materiale interessò le frazioni di Pianpaganella (Sarzanello - SP), Caniparola (Fosdinovo - MS), Colombiera/Aglione, Molicciara (Castelnuovo Magra - SP) e Cafaggiola (Ortonovo - SP), seppur talvolta a livello di mero sondaggio. A partire dalla metà del Settecento, in un'epoca cioè in cui si facevano i conti con la penuria di legname seguita ai massicci disboscamenti del passato, il cosiddetto Carbon di Sasso - secondo la definizione del geologo inglese Jervis - divenne prezioso e ricercato. Saranno imprenditori o studiosi venuti da fuori che, nel nostro territorio, "inseguirono" in modo quasi pionieristico i filoni di lignite creati da antiche foreste, letteralmente "sprofondate": si narra infatti che i banchi fossero quasi verticali, come gli alberi appunto.

            A leggere la documentazione esistente, si ha l'impressione però che intorno a questa nuova attività nessuna idea di tipo imprenditoriale venne mai espressa a livello locale: tra chi si interessò di questa zona per aprire pozzi di estrazione, oltre a toscani, troviamo infatti nomi di francesi, inglesi, sassoni, svizzeri. E molti di loro dilapidarono le proprie sostanze in queste giovani imprese. Localmente abbondava invece la manodopera, proveniente dalle numerose famiglie contadine assoggettate al sistema della mezzadria e che ovviamente videro in questa nuova attività una possibilità di allargare le magre sostanze del bilancio famigliare. Ma parliamo già di un'epoca a noi più vicina, quando cioè l'estrazione della lignite venne favorita dal regime autarchico imposto dalle due Guerre Mondiali.

            E' una storia che interessò la zona per duecento anni, dalla metà del Settecento fino alla chiusura definitiva degli ultimi siti di escavazione nel 1953, seguita alla nota occupazione del Pozzo n. 5 di Via Montecchio. Quando cioè i minatori rimasero “nella pancia del pianeta” per diciotto giorni, nel tentativo di opporsi alla decisione di chiedere definitivamente la miniera, la quale mal reggeva ormai la concorrenza del carbone proveniente dal Nord-Europa. Alla storia della comunità si aggiunse quindi anche questo capitolo, che la stampa nazionale battezzò con il nome i "Sepolti Vivi", raccontata anche dal giornalista dell'Unità Enrico Ardù, il quale nel pozzo N. 5 scese per portare testimonianza. Tutt'intorno, in superficie, c'era un continuo via vai di famigliari, autorità, e ovviamente della forza pubblica, come "ricordano" le numerose foto scattate in quei momenti e che Tommy Malfanti con Giuseppe Passarino hanno pubblicato nel loro catalogo, Miniere di Luni. Storia in fotografia.

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