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Un Gradito Ritorno

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UN GRADITO RITORNO

Penso da molto tempo che Gianni Zanasi ( n.1965 ) sia uno dei talenti più interessanti e meno utilizzati del cinema italiano contemporaneo, a quasi dieci anni ( 2007 ) da “ Non pensarci “e preceduto dall’esordio con “ Nella mischia “ ( 1995 ) e seguito da “ A domani “ e “ Fuori di me “ (1999 ) mi aveva fatto pensare ad un autore che come pochi poteva far riflettere su aspetti e problematiche legati ad un processo singolare e personale di riconoscimento dei malesseri sottesi nella realtà del nostro tempo con particolare attenzione a dinamiche legate ai giovani ed agli aspetti dei riti collettivi con sincera attenzione e per una volta fuori sia dai riti stracchi di certa commedia all’italiana che a psicologismi d’accatto mutuati dall’invadente ed abbastanza inutile rappresentazione di stampo televisivo. Questo suo ultimo “La felicità è un sistema complesso “non ha potuto che accrescere il dispiacere.

Enrico Giusti è uno dei rappresentanti più degni del mondo contemporaneo, intermediario di un’azienda che acquista società in crisi per cifre ben al di sotto del loro valore per ricollocarle con lauti guadagni. A lui è affidato il compito di avvicinare i clienti, guadagnarne la fiducia per poi consegnarli ad un destino di ricchi nullafacenti finalmente liberi dalle difficoltà imprenditoriali. Del resto è una storia che lo riguarda personalmente a causa di un padre imprenditore fuggiasco ed insolvente. Tra l’altro si può permettere di pensare che la sua possa anche essere considerata una sorta di missione per salvare aziende decotte e posti di lavoro. Quando i titolari della Lievi Group muoiono in un incidente stradale lasciando eredi due ragazzi di diciotto e tredici anni puntualmente viene incaricato di dar luogo ad una procedura consueta e considerata fino a quel momento infallibile. Inaspettatamente si presentano problematiche cui non è abituato: gli piomba in casa la fidanzata abbandonata dal fratello in fuga da possibili responsabilità e i due ragazzi eredi industriali decidono di non cedere l’azienda ma in qualche modo assumersene la conduzione sopratutto per garantire l’occupazione ai dipendenti. Enrico è stupito e, in fondo, anche incuriosito dallo svolgersi per lui del tutto imprevisto degli eventi, tanto da essere costretto a riconsiderare non solo la strategia predatoria ma il suo ruolo in questa storia che per la prima volta nella sua vita mette in dubbio certezze acquisite e consolidate sia da quello che normalmente vede accadere e ripetersi attorno a lui ma si trova anche al centro di aspetti per lui del tutto inusuali sui rapporti umani . La ragazza abbandonata dal fratello è un tipino per niente arrendevole che non solo contesta il suo modo di vivere ma prospetta con la sua stessa storia e il suo atteggiamento scenari del tutto imprevedibili riguardanti non solo la sua professione ma anche il suo privato. Anche i due orfani si presentano come espressioni di una gioventù altra rispetto a quello che si sarebbe aspettato, insomma si creano crepe in tutto il suo edificio. La soluzione si presenterà in perfetta armonia col percorso del film e non è giusto anticiparla. Se il contributo degli attori è essenziale dal perfetto Enrico di un grande Valerio Mastandrea non è da meno la Acrinoam ( fidanzata abbandonata ) di Hadas Yaron ( splendida israeliana scoperta in “ La sposa promessa “) con al loro fianco due eccellenze come Teco Celio e Giuseppe Battiston ( già presenti con Mastandrea nel citato, bellissimo, “Non pensarci “) si deve aggiungere la efficacia del commento musicale e la perizia tecnica di Zanasi che sapientemente esibisce modello classici ed avanguardia. Detto questo però credo che la specialità che più caratterizza il film consista nell’aver affrontato molti dei nodi più irrisolti del malessere contemporaneo attraverso la descrizione impietosa ed insieme accorata di un mondo in cui i gruppi le famiglie e la società vengono visti attraverso le dinamiche essenzialied ineludibili ed in più, finalmente, guardando ai giovani cercando di capirli. Non stupisce quindi che il film sia passato praticamente inosservato e consentendo ad uno spettatore consapevole ( ammesso che esista ) di fare un po' di conti anche con la critica cinematografica: Massimo Bertarelli ( Il Giornale ) lo liquida nelle sue supponenti quattro battute, Paolo Mereghetti ( “ Il corriere della sera “) lascia un po' di dubbi ( e mi dispiace ) mentre Fabio Ferzetti ( “Il Messaggero “)si dimostra ancora una volta la più attendibile ed attenta tra le voci che ci parlano di cinema . Quando poi il film è gradito da Emiliano Morreale ( “ L’Espresso “ ) siamo piacevolmente sorpresi.